Pd in subbuglio: dopo Schlein si cerca un nuovo leader…

Da un’analisi più critica, però, due aspetti saltano all’occhio. Primo: il Pd sembra mancare di visione complessiva. La leadership attuale appare intrappolata in un gioco tattico interno — mediazioni, correnti, candidature alternative — più che in una chiara declinazione di proposta politica credibile per il Paese. Il partito appare orientato verso l’interramento di Schlein più che verso un vero progetto di rilancio. Come scriveva “La Stampa”: i riformisti sono pronti a disertare la direzione convocata da Schlein perché «non ci sarà spazio per discutere i nodi politici». La Stampa

Secondo: il rischio concreto è che il Pd, concentrandosi sulla battaglia interna, si allontani dall’elettorato. Quando si perde nei territori — come è accaduto — e non si fa autocritica, non si sviluppa una reazione utile per ripartire. Numerosi commentatori definiscono il momento interno del partito come una “guerra fredda” che rischia di devastare la capacità di azione stessa del Pd. Tempi

E proprio in questo discrimine emerge il profilo di Manfredi: tecnico, esperto, apparentemente capace di dare un segnale di discontinuità. Ma anche qui occorre una domanda: cambiare la guida del partito senza ridefinire il perché e il come è rischioso. Un volto nuovo non basta se non è accompagnato da una strategia, da una visione, da un’operatività reale che riprenda credibilità nei cittadini.

In conclusione: il Pd ha bisogno più di un cambio di passo che di un cambio di nome. Il richiamo all’unità e alla moderazione non è di per sé una ricetta vincente, se non si traduce in proposte concrete, coesione reale, e ascolto territoriale. Se il partito rimane diviso, se la leadership resta percepita come distante dai bisogni reali, il rischio è che il prossimo cambio — che potrebbe arrivare — non basti a evitare il declino. Schlein resta segretaria, ma l’ombra di Manfredi testimonia che una fase di transizione è già in corso. Fine.